In terra d'Arcàdia, ai tempi del mito,
sotto il bel sole di Grecia ridente,
sorgeva altipiano verde fiorito,
ove riparo nel meriggio ardente,
tra fronde d'alberi e bacche di mirto,
offriva lago con brezza suadente,
misto d'augelli ai gorgheggi, spirto
rinvigorendo dall'arduo cimento
che fosse salito via sentièr irto.
Là di ristoro per breve momento
assìso stava solingo pastore,
a pecorelle badando contento:
all'ombra di quercia, cheto splendore
colòr contemplando d'itti guizzanti,
giunt'a olvidare persìn era l'ore!
Quand'ecco, dal ciel, saette tonanti,
pur senza nube, sfumàron quel brìo,
seco recando del Monte abitanti:
a lui di fronte, apparso era trìo
di dame celesti, tra lor diverse,
che di favèlla espressàvan disìo!
Dapprima inchinato, affàbil si erse
a loro davanti un uòm misterioso,
d'alati calzàr, che motti proferse:
«O tu, che in medio del cammìn ombroso
presso un idillio qui trovi conforto,
deh, pòrgimi udito e cor valoroso!»
Non più tremante, ma pur sempre accorto,
si pose il pastore intento a sbrogliare
gomìtolo in mente di spine involto!
Riprese l'altro: «Per terra e per mare,
financo in ètere ai viaggi patròno,
di sommo Zeus ogni ambascia a recare,
a te mi palèso, Hèrmes io sono,
qui a dimandarti un ingente favore,
dal quale magico pur tràrrai dono!
Or ben, Efèsto una torta di more
preparàr volle per algùn festino,
ma di tal vanto è il gran forgiatore
che, senza intento, àureo tortino
produsse, di pregio, unico al guardo,
nel caos gittando nostro giardino,
poich'este dive d'aspetto gagliardo
fremendo contèndon raro portento,
sì che alla corte nessuno l'azzardo
giocarsi osa di dare contento
ad una soltanto, ergo ci parve
saggio affidare ad un altro il cimento:
colei che mostràndo di premio larve
saprà rapirti sarà vincitrice!»
E com'ebbe detto, qual fòlgor sparve.
Con cipiglio altèro più che oràl dice,
s'avanzò subito già la primiera,
dal fiero passo di conquistatrice;
null'altra èsser poteva men d'Era,
del cielo indossando regàl corona
con gioie mìstiche, d'òrden alfiera;
vestito sfoggiando di seta buona,
dall'orlo a stràscico assai ricercato,
sua arringa iniziò celeste padrona:
«Mortale piccìn, dai Fati baciato,
non pensi che d'or tortìn si confaccia
a chi tièn d'Olimpo scettro adornato?
Se tributarmi vittoria ti piaccia,
tanto inondato sarai di potere
che tu della Storia pingerai traccia!
Forse t'è ignoto che possiàm vedere
contesti ed eventi da futùr velo
per ora preclusi all'umane fiere:
tempo preveggo dov'ìnfero zelo
traerà empia bòria a vil affarista
che stralcerà d'esta landa lo stelo!
Tra gli usurai superiòr della lista
sarà nemmèn lungi tal marionetta
d'ogni buon animo odiosa alla vista!
Con l'orrido mostro, che fuoco getta,
serpenti per lucro s'abbracceranno,
qual di sindacato che terga netta:
costoro a popoli recheràn danno,
mentre governi e financo sovrani
di matta mummia orbi al pari saranno!
Persìn generali loschi e balzani
a truffe adiranno, falsando conti,
da morbo truccando riti malsani;
in breve, d'Ìnferi i più oscuri arconti
razzieràn continente intero a un punto
che svanito veo fìn da' racconti!
Ma cupo mònito non vano è giunto,
ché con mio aiuto a periglio remoto
puossi oppòr corso di speme trapunto:
cèdimi il premio con guardo devoto,
sì che scongiuràr tu stesso gli orrori
predetti potrai, nei secoli immoto,
mentre, d'intorno, splendenti tesori,
da tutto il mondo s'andràn cumulando,
pur siendo parvi a confronto d'onori!
Come tue pecore umàn pascolando,
dal mesto villico al banchièr vorace,
tua man seguiranno, fidi scattando,
di modo che il cosmo, come ti piace
riordinare potrai, d'Era virgulto,
forzando, a tua imàgo, eterna pace!»
Indi si tacque, confuso tumulto,
rombante qual pèlago, in giovìn core,
destando con dire in gran parte occulto;
eppùr di certo avèa il buon pastore
del vaticìnio compreso l'essenza,
insieme del dono al sommo valore:
ah! senza minima interferenza
deviare lui solo i flussi del Fato,
qual Fidia scolpendo umana semenza!
Da simile regno più spaventato
che incuriosito sentìasi davvero,
tra scettro e quiete pesando lo iato...
Nemmèn concluso avèa suo pensiero
che già movèasi a lui la seconda
con passo di danza fine e leggero:
«Suvvia, fustone, regina iraconda,
da glacial soglio, che mai può produrre?
Che scopo ha vita, se non ser gioconda?»
Afrodite iniziò, di perle azzurre,
fini intrecciate, soltanto vestita,
arcani pàlpiti volta ad indurre!
«Non posso, né vo' esistenza infinita
offrire o trono che parmi baggiàno,
ma eterna bellezza e fiaba squisita!»
Stupòr! Ad un lesto schiocco di mano
sorse dall'acque del cheto laghetto,
pian risalendo, sublime castano!
Del viso ogni zìgomo era perfetto,
con barba e bei baffi che da cerbiatto
dei radiòsi lumi augèvan l'effetto,
mentre sorriso di sé soddisfatto,
con sobria modestia, l'alma commossa
da passiòn faceva con arcàn tratto!
Su splèndido uomo, fiammante rossa
maglia da calcio, grondando bagnata
del virìl torso esaltava la possa!
«Se a me concedi la torta agognata,
fìa tuo soltanto baffuto gioiello
dal qual tua vista già ora è ammaliata!
Poi, ti rivelo, nel calcio modello
costui diverrà, ché d'ori non pago
viaggiò fino a Oriente, d'un re al castello,
consiglio rogando di savio mago,
il quale, addolcìto mossa segreta
gli rivelò, detta «Tiro di drago»,
che pallone spinge a distinta meta,
del mito alato mediante magia,
di fatto rendèndolo invitto atleta;
ma portièr brillante se pur vi sia,
vinto sarebbe, farfalle sentendo,
di baffi al cospetto con tal malìa!
Per lui trofei squadra ognora vincendo,
«Fragole e baffi», a tutti preclara
starà negli annali, in fama crescendo:
tuo sarà sole che buio rischiara
se a me tributi quel conteso premio,
beltà più di forza optando a te cara!»
Ignoto al pastòr di calcio era grèmio
sì che dei motti ancòr metà comprese,
ma poco importava, ché non più astemio
sentìasi ammirando tanto palèse
fascino d'Arte del bruno, sortìto
dall'acqua intero, sensuale e cortese:
al suo passare un sentiero fiorìto
sbocciava di rose in tutto il terreno,
più ancòr attraendo il guardo rapìto;
come nel cielo notturno balèno
che di stupore l'astrònomo riempie
luceva il castano in volto sereno!
Pulsàvan ritmiche pastoràl tempie,
nel porsi l'altro di Venere a lato,
quando la terza avanzò dell'olimpie:
con capo adorno d'alloro onorato,
toga portava di mille papìri,
ciascuno redatto in stil cesellato,
del vasto mondo per dove si giri
testìgo chiosato in rara scrittura,
al par di minio che òrafo ammiri.
«Curiosa scòrgere parmi natura»
iniziò Atena, con far compiaciuto,
in palmo evocando, di fin fattura
frutto irreale, con buccia in velluto,
avvolto in mìstico, fulgente alòne
per occhi cèrebro rendendo acuto!
«Di conseguenza per poche persone
d'offrirti ho in animo dono speciale
di cui godrai se sarà mia tenzòne:
so che insipiente, ferino animale
fatto non fosti da sempre in te senti,
con ansia cercando il Vero reale,
mentre, qual pecore, insìpide genti
trascìnansi stanche senza pensare,
vuoto emanando da lor volti spenti!
Quel che qui osservi è mio frutto del mare,
da colti ambìto, «Giangiàn» per la fama,
del possessore capace infocare
d'apprendimento l'indòmita brama,
ben oltre del tempo fuggenti pieghe,
con studio costante che mai si sfama,
coeve mortali, futili beghe
qual punto ignorando in spazio infinito
facendo a sè parte, senz'altre leghe:
omne universo indagando stupìto,
senso darai a fugace esistenza,
avendo passato e presente unito;
quest'ultimo aspetto, con preveggenza
simile a nostra, pur fioco barlume,
ti fornirà del futuro coscienza!
V'è di più: Apollo sublime acume
ha riversato su magico frutto,
d'arte poetica librando piume,
talento aguzzando di mutàr tutto
in forme ideali di narrativa,
da prence azzurro a tiràn farabutto,
trasfigurando audace inventiva
dei fatti essenza in ornato fervore
che giungerà grato ad ogni alma viva,
di modo che infine, o amàbil pastore,
non solo sarai studioso ammirato,
ma pur di tuo spirto alto cantore!»
Dall'eccellente orazione estasiato,
senz'ombra di dubbio sciolse tenzone
donando ad Atena il premio agognato,
eppùr d'incògnito, bel castanòne
serbò memoria di cara dolcezza,
da ciò creando novella stagione,
con tratto leggiadro e ornata franchezza,
un mar rievocando d'umani affetti,
desti da imago di garbo e bellezza,
dèmoni e scimmie irridendo dispetti
come candela nel fosco più torvo,
per stella tenendo i baffi diletti.