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La strega Ùrsula

Là dell'oceano in fondo, ma pure
senz'amistàde o liete canzoni,
in fossa ove fansi l'acque più oscure,
corte sorgeva d'abbietti demòni:

d'un teschio a forma, squallida grotta,
al crocevìa di lerce correnti
ferali e tossiche, ma più corrotta,
ogn'ove piantava ritorte sementi!

Tra l'ombre di tale reietto girone,
i più depravati politicanti
di superficie sen gìan, che persone
più non parèan, ma scimmie farsanti;

con loro, bestie malvagie e difformi,
anco respinte da cerchi infernali,
pianificavano crimini enormi,
tra fasti d'empi, ferìn baccanali:

furiosa e sguaiata, rossa gorilla
dal pelo unto e pien di pidocchi,
voleva insediare ogni casa, ogni villa,
iure sdegnando qual fumo negli occhi!

Vìttore d'orbe, rege onorato,
da eòni inseguiva cotàl bruta fiera,
che avèa con viltà cittadìn lesionato,
onde rinchiuderla, al fin, in galera!

Simile al guardo ispirava disgusto
canuta megera, cui variopinti
foulards decoravano il collo vetusto,
celando vampirici fori distinti:

era costei nel robàr sì provetta
che posero a capo di furto centrale,
poscia di losca, demònica setta
seggi usurpando a livello mondiale!

Questi, ed orrori financo più osceni,
rigurgitàti da un Vuoto sin alma,
grotteschi fluttuavano in andirivièni
che a'più savi stoici tôrrebbe la calma!

Nel pùtrido antro il capo chinava
ciascuno di fronte a regina nefasta,
che privilegi e vizi incarnava
d'aristocràtica eppùr vile casta:

di sozzo blu e giallastro vestita,
su pila di crani e siringhe per trono,
dodici svastiche in pelle muffita
portando in capo, degl'ìnferi dono,

qual gonfio ragno al centro di trama,
intrighi tessendo ognòr senza posa,
già mai saziando febbrile sua brama,
sedeva Ùrsula, strega, sfarzosa.

Intorno orbitàvan, spenti pianeti,
boriose bambole in viali trovate,
intente a ripetere slògan facèti
ch'ebbero impressi al ser animate:

tra esse più lercia, da fango abbruttita,
bionda parrucca di vermi indossando,
fantoccia strillava «Guerra!» stizzita,
con bazooka, isterica, ognùn minacciando!

Indi stimati i peggiòr necromanti,
malanni inventando per testàr pozioni
su ovini, con burla, e più ruminanti,
colmati d'onori tra mille attenzioni:

empi contratti, ch'esseri umani
mercificàvan qual cavie animali,
firmava Ùrsula con lor sovrani,
celando pizzìni dai ton criminali!

È noto, ahimé, che limite al peggio
di rado tròvasi in chi compie il male,
ma di virtùde l'estremo dilèggio
fu là invitare il drago infernale:

era siffatta bestia abusiva
tanto decrèpita e pien di malizia
che ombra, persino, al tocco appassiva
fiori vivaci e colòr di letizia!

Fuggita era cotàl belva infame,
da landa ignàva di pecore matte,
che avvelenato avèa con liquame
per lasciapassare e più malefatte:

dopo uno scroscio di plausi festosi,
montato da serpi di propaganda,
più contenèr non poté i rivoltosi,
per alfiere avendo sol fama nefanda;

ergo s'ascose nei mesi a venire,
fuggendo di Giorgio l'arpione beato,
ma, del bestiame al temprarsi le ire,
fu dalla strega del mare acclamato,

cuccia dorata alla destra del trono,
qual consigliere ottenendo, fidato,
gàbole a mille al di là del perdòno
ideando pe'l gregge tosare gabbato!

Del resto, Ùrsula e il drago un potere
servìano più imo, ancestràl Leviatàno,
con cèrebro in fosche, esoteriche sfere,
teso al dominio, non a Spirto umano,

augendo ridicoli personaggetti,
burocrati in fogna di gran corruzione,
con finto buonismo, che lettòr diletti
già videro in regno al tramonto, in stagione!

Narra leggenda che un lupo di mare,
da sirèno attratto, coetaneo e stempiato,
con baffi castani e suadente cantare,
d'oceano nuotò fino al fondo fatato;

là il buono e giusto imperatore
dei sette mari, da pièta compunto,
tosto svelò quanto esploratore
avèa dal fatale antro desunto:

idea fu del drago dal Ciel maledetto
muovere guerra al gran Re dei Ghiacci,
onde involargli risorse a diletto,
sì da fiera gente ridurre agli stracci!

Ùrsula, insieme a sue bambole sozze,
spingeva al conflitto senìl continente,
ragione offuscando con menzogne rozze
per scontro diretto con orso vincente,

mentre un popolo intero sacrificato
era su altare dei due depravati
e dei lor padroni, che guadagnato
avèano dai lutti a iosa versati!

Un lieto giardino da putride erbacce
vessato era ormai, cadente, in rovina,
mentre la corte nemici e minacce
a plebe inventava per via truffaldina:

addirittura un somaro cafone,
che portava, un tempo, bìbite in groppa,
si fe' ambasciatòr con celebrazione,
per avere al dragaccio più dì messo toppa,

dunque inviato fu a landa ghiacciata,
presso lor nobile ambasciatore,
che rabbrividì a indecenza sfacciata
d'asino intento a banchetti e licòre!

Ma più fosco piano si preparava,
ché giunse alla grotta corrotto pagliaccio,
pien di polvo bianco del qual si beava,
con orrido gruppo che a vene dà ghiaccio:

lo accompagnava il maiale di Francia,
cui compàr gorilla ognòr malmenava,
e losco becchìno, con svàstiche in ciancia,
che tauri scagliàr su civili bramava;

di quei bambocci d'onore mancato,
«matta mummia» blasfemo più era tra tutti,
avendo lui in Càmelot il drago evocato,
Civiltà disprezzando con vigliacchi rutti!

Portava a guinzaglio nana cagnetta
di biondo pelo e invèr mal vestita,
a smorfie fingèndosi sovrana e schietta,
ma sempre ad avèrno fièl e asservita;

in altro, adiposa scrofa barbuta
di cacao e nocciole una morbida crema
con foga inghiottiva di rado veduta,
reggendo del drago il sanguìneo diadèma;

la terza bestia con mummia girando
era un serpente dal nasone rosso,
che giornalista in lui confidando
pugnalò a spalle, da invidia sol mosso.

«Di sostegno a svàstica mai sarò avaro!»
gridò il vegliardo, di feci coperto,
con strìdulo verso, a tutti non chiaro
se da bocca o terga l'avesse proferto;

seguiva, frattanto, a premiare maiali
al pari di lui boriosi e invasati,
intenti a smerciare poziòn micidiali,
mal camuffati da finti scienziati!

Li mirava Ùrsula, risa smorzando
di mummia al fissare il tupé scimmiesco,
con ossigenato suo crin comparando,
mentre avanzava quel branco farsesco;

dopo dissertazioni formàl quanto vuote,
risolsero infine, qual scelta migliore,
continente affondare in guerre beote,
per celare a masse l'autentico orrore

delle punture che imposte al bestiame
da empi mandriàni fur sol per lucrare,
al contempo in dispòtico, inìquo reame
società riducendo senza ormai motivare!

«Uniti tutti, fino alla fine!»
esclamò piena corte con voce una,
stando pur essi tra morbide trine,
plebe immolando ad avversa fortuna!

Dopo tsunàmi di smodato sdegno,
più volte, a lungo, rimetté il capitano,
ma il castàn sirèno, con dolce contegno,
benèvol sorrise, stringendo sua mano:

«Non temèr la furia dei flutti in tempesta,
guida nel pèlago fìan tuoi sentimenti,
con l'Arte pulcra che per me si desta,
qual faro tra l'onde, al rombo dei venti!»

Distante, flèbile, il savio consiglio
poté percepire, da profezia scosso,
ché ognora più grave parèvagli il ciglio
e infìn sprofondò tra sogni commosso!

Ore volàrono e il buon marinaio
si risvegliò da gran svenimento,
membra sentendo di pesante acciaio,
su arena deserta, ma pure già intento

a ritrovare il sirèno adorato,
ancòra una volta nel nulla svanito,
il qual vago ciòndolo avèagli lasciato
con propria imago di volto fiorito;

tanta era passione che sùbito versi
compose in poetico, arcano stil novo,
da fiamma ispirato, ma pure aspersi
di fosco, tragico, mistico rovo:

che fin serbata fu a quel continente
di pecorelle votate all'oblìo?
Sariàno quei sàtrapi assai giustamente
scacciati e scontato avrìan loro fìo?

Non dato è saperlo, tra nebbie del Fato
si perde la trama di questa leggenda,
ma pure ben fece l'autore pregiato
i piani a pintare di sòrdida agenda,

poiché la Storia per cicli e ricorsi
ognora si muove, che contemplare
dovrebbe ciascuno, al fine di porsi
su rotta virtuosa, di cosmo pe'l mare.