Per l'àlgido aere, di fiocchi già bianco,
sul fido destrièr, d'ideali ammantato,
con fiera posa, al galoppo mai stanco,
cavalièr dell'Aurora sen iba lanciato:
agli occhi d'intorno portava di fiori
due vìvidi serti, che il guardo celavano,
e, in orrido inverno, di umani colori,
qual cristalli elfici, la luce serbavano.
Ricordava, ramingo, la reggia felice
ove per anni fu elegante pittore,
poi monte di feccia, che il Cielo maldice,
l'invase e scacciò anco il re fondatore;
nell'intera landa, come in molte vicine,
avèa preso il potere foro di criminali,
che ogni saggio volèvan bandìr dal confine,
ovini imbottendo d'intrugli infernali!
Militava in legione di cotàl delinquenti,
in terra losca il cui nom resta ignoto,
babbuìno demònico dai suoni dementi,
che ai corvi persìno parèa cèrebro vuoto:
ministro era, il dèmone, d'un drago infernale,
da vil matta mummia con ferocia evocato,
sì che «di mala morte ministro» quel tale
da sdegnati sudditi fu presto nomato,
per cui, ovunque andasse, un coro s'alzava,
gridàndogli i lutti in feriti e stroncati,
e più l'avrìan castigato, ma lo circondava
un cordone di diavoli dai brandi infuocati!
Correva al galoppo, rimembrando il tramonto
della gran civiltà presso cui era cresciuto,
quando, da lungi, levarsi di pronto
fumoso pennacchio scorse a lui sconosciuto,
che a riflètter lo indusse sul tragico orrore,
in striscia remota, ove popolazione,
da un altro demonio in frenesia di terrore,
flagellata veniva con devastazione:
eppùr di matta mummia la stregaccia immonda,
che avèa per parrucca spazzolòn di latrina,
con muso grifagno e smorfia iraconda
gli oppositòr condannava dell'empia dottrina;
del resto, costei dei peggiòr necromanti
sosteneva l'intruglio sperimentale,
anzi invocava castighi umilianti
per chi pari a cavia non fosse animale!
Matta mummia, di suo, solèa venerare
ogni empio potere inclìne al delitto,
sì che intero Paese, senza esitare,
avrebbe immolàto in globale conflitto:
il decrèpito duo era tanto malvagio,
ma pure orrendo anche sol da vedere,
che proprio ciascuno profondo disagio
pativa al cospetto di simili fiere!
In pochi minuti fu svelato il mistero,
ché giunse a una casa sperduta nel bosco,
da vivo giardìn circondata, e un sentiero
tra fiori sgargianti contrastava col fosco:
dell'àrea lieta all'ingresso s'ergeva
un cartello con stilo d'un saloon del Far West,
ove pintado sull'anglo leggeva:
«Boscaiolo o gun master, always the best!»
Restò il cavaliere confuso e stupito,
decifrare intentando l'arcano messaggio,
quando - oh, sorpresa! - fu attratto e rapìto
da visiòn delicata qual bocciòlo di maggio:
nel cortiletto, un giaccone indossando
sul grigio scuro, con ampio cappuccio,
boscaiolo forzuto, ceppi tagliando,
legname ammucchiava su pile in cantuccio;
ma fu nell'istante in cui girò il guardo
verso il cavalièr, che l'angelico viso
di quel boscaiolo penetrò come un dardo
nel cor di colui, di passione già intriso!
Non era più giòvin come in sbiadìta foto
che, per vanità, ridicolmente adoprava,
ma in quegli occhi magici un potere ignoto
irradiava dolcezza e di desìo conquistava!
Al par di meringa su tortìn di ciliegie,
radiosa sfilata di baffi castani,
ormai sempre più scuri, ma con tinte egregie,
a sè richiamava anco i cor più lontani,
lo slancio prospèttico tutto centrando
su candide labbra, nel rosa sfumate,
di cui ogni poeta sperava, anelando,
l'ardore temprare al sentirle basciate!
Barba curata, pur di castano scuro,
completava il bel quadro sublime e sensuale,
più cesellando il soave e maturo
sorriso magnetico, gittando suo strale!
Posata l'accetta, a compagnìa poco avvezzo,
per alcuni istanti lo fissò incuriosito,
indi seguito da floreàl olezzo
si diresse al cancello, ove l'altro, impietrìto,
da cavallo disceso, ne ammirava possanza,
in constrasto ai leggiadri, stilosi baffetti,
i quali, raggianti d'arcana eleganza,
turbinàr nello spirto facevano affetti:
alla mente riapparve, da antica stagione,
un altro castano, che grande amicizia
senza pur traccia d'amorosa passione
all'alma ispirava, lungi d'ogni malizia;
era colui un riflessivo ingegnere,
che della Scienza incarnava l'onore,
ai dati fedele, sì che intravvedere
brillanti teoremi riusciva a tutt'ore,
al punto che, invero, per il cavaliere
sembrava costui un maggiore fratello,
fonte d'ispirazione in comune mestiere,
di gran rigòr logico e buon garbo modello!
Ahimé, tempi orridi calàron sul mondo,
ancòra più in terra del malaffare,
ove contaminarsi con liquame immondo
era obbligatorio per vil lasciapassare,
il quale forniva alle pecore accesso
a tutti i diritti che per nascita avevano,
ma pure all'Inferno in anticipo ingresso
per sé e i propri cari, che in lutto piangevano:
ai superstiziosi lo stimato ingegnere
s'unì, mescolandosi a istèriche masse,
sì che a trovàr non riuscìa il cavaliere
un tema che ormai razionalmente trattasse!
Fauci spergiure e viràl ciarlatani,
come porco in salotto di pagliaccia e di ratto,
trònfio somaro dai modi inumani,
èran per l'ingegnere ormai Legge di fatto,
ergo fuffa scimmiesca sen gìa declamando,
sdegnando chi fèrrea lòica tenesse,
persino dei figli la vita arrischiando,
di corrotti abboccando alle false promesse!
Ormai non splendeva l'argèntea sovrana
su quel pecoròn, che sul muso portava
lercia mutanda, umiliante e assai vana,
ognora più arcigno, che già non parlava
con chi, di Libertà sostenendo ideale,
truffòn rifiutasse che volèa calpestare
dello Spirito umano l'essenza ancestrale...
...e infine, col gregge, rimase a belare.
«Buondì, forestiero!» - una voce armoniosa
lo destò dai ricordi prossimi al pianto,
maschia ma pure squillante e briosa,
che del boscaiolo dovèa èsser gran vanto:
si presentarono e del buon castano
regàl nome apprese, a re appartenuto,
seppure un sol mese, e sua fresca mano
strinse e basciò, come fosse velluto!
Entrato in casetta, ammirò l'eccellente
stile d'arredo nei dettagli più fini,
mentre l'anfitriòn, da stufa rovente,
su tavola trasse tè con bei pasticcini;
togliendo il giaccone svelò stempiatura
che d'altrui cavallo ben più galoppava,
ma così seducente era la sua natura
che il pensiero, miràndolo, si sublimava.
Alla mente riapparve una scimmia distante,
che un tempo fu invero amica garbata,
prìa che lo tsunàmi disùmanizzànte
gettasse anche lei nella turba dannata:
bava schiumando da zanne rognose,
maltrattò il cavaliere con furia d'arpìa,
mentre la madre intrugli sperimentali
smerciava, dell'oro inseguendo la scìa,
sì che la bertuccia, qual torero sfacciato,
come scrofa mangiava a quattro palmènti,
ridendo di quanto avèan ben lucrato
sulla pelle d'incontabili ovini dementi!
Che orrore! Ma pure cercò di concentrarsi
sull'uom fascinoso, che il tè già versava,
allòr che dagli occhi, di luce cosparsi,
come spirituàl bàlsamo dispiacere sanava:
chiacchierarono un poco, in sogno dantesco,
soprattutto il castano raccontava suoi viaggi,
dall'Oriente remoto ad un parco fiabesco
di sequoie immense e buffi orsi selvaggi!
Il gentìl cavaliere l'ascoltava, rapito,
quel viso di zucchero a velo ammirando,
incerto se stesse il camino assopito
o piuttosto quei baffi la cucina scaldando:
da essi parèano di calòr forti moti
convettivi per l'aere circolàr nella stanza,
dell'altro alle guance giungendo ed ignoti
destavano frèmiti d'ardente baldanza!
In quella mezz'ora provò, quanto mai,
pace in suo cuore, tra i ghiacci scheggiato,
come se mille soli, con splèndidi rài,
primavera donassero allo spirto inebriato;
al par d'orientale, magnifico drago,
la cui aura sfuma anco il tempo e lo spazio,
dell'Universo le lancette all'imàgo
di lui fermàvansi pe'l guardo mai sazio!
Forse per sempre avrìa voluto parlare
con quel caro uomo, eppùr della Storia
il corso malvagio nemmèn di realizzare
sentimenti concesse, ché tra rutti e bòria
uno gnomo barbuto, che fango e letame
ovunque spargeva agitando un frustino,
comparve strillando, mentre in tutto il reame,
financo nel bosco, s'appressava il declino:
il drago mostruoso, evocato d'Inferno
da vil matta mummia con ràncido fiato,
più freddo e malvagio avèa reso l'inverno,
sì che il cavaliere, assai disgustato,
più per tal disgusto che non per spavento,
d'intorno sol tenebre vide e svanito
tutto gli parve, perfino il portento
del boscaiolo di cui s'era invaghito,
sì che sul destriero rimontò qual saetta,
indietro lasciando gli ululati malvagi
di tutta una landa che parèa maledetta,
che ai saggi e ai valenti volèa toglier agi!
Eppure, col tempo, capì quanto provava
per il dolce castano dal tè profumato,
che in àrdua ricerca, ahimé, non trovava,
ma che per tutta l'alma gli avèa seminato
i germogli e la speme d'un lieto Destino,
che crebbero forti in stilnovista poesia,
a guisa dei fiori del ridente giardino,
nel core serbandone l'etèrea magia.