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Sir Lancibbaffo

Remota e magica nell'Evo Medio,
tra mìstiche nebbie dell'angla terra,
in landa che or solo a fantasia si disserra
ergèvasi corte cui ignoto era il tedio;

sotto la guida del buon rege Artù,
di sua sposa Ginevra e di Mago Merlino,
i piani sventando di Morgana, destino
risoluti forgiàvan di pace e virtù:

a tal fine il sovrano aveva fondato
di Mesa Redonda l'ordine fiero,
cui soltanto poteva aderìr cavaliero
che avesse a bontade esistenza votato.

Permaneva riunito a palazzo il fiòr fiore
dell'intero regno, tra epiche gesta
la cui ulteriore narrazione molesta
risultare podrìa a informato lettore;

piuttosto si vuole qui al mondo contare
l'ignota vicenda d'un nobile bardo
a loro coevo, che per vivo dardo
di maschia beltà sentìa il cor palpitare:

il suo portentoso e gaio talento
dal felice pubblico veniva stimato,
ché fin dai prim'anni s'era impegnato
ogni opra ad imbèver d'artìstico aliento!

Vedèalosi spesso comporre soletto,
se di repente ispiraziòn lo prendèa,
ma a chi aiuto chiedesse ben rispondèa,
tanto avèa l'altruismo in sommo diletto;

durante una notte assai tempestosa,
mentre sen gìa grezzo liuto accordando,
lo rapì fresca voce che, cinguettando,
a un'epifanìa lo condusse radiòsa:

nell'atrio attendèa cavaliere novello,
che da Oriente era giunto per ambasciata,
e al guardo sedotto del poeta svelata
fu in quel primo istante l'Imago del Bello!

Tra poesie, strofe e versi, sempre a spiegare
riuscìa suo pensiero l'artista elegante,
ma trovàndosi presso tal statua charmante
con un tonfo sordo a punto fu di cascàre!

Èran coetanei e di simile altezza,
ma più longilìneo era l'altro e possente,
eppure attraverso poetica lente
più ne ammirava la soave mitezza!

Al bel corto crine, di scuro castano,
così come gli occhi, che in parte celava,
di giada una fascia contrasto donava,
ai sensi evocando un impero lontano;

del dolce volto, lievemente barbuto,
sotto d'un naso che marzapàne parèa,
sul ròseo labio signorìl s'estendèa,
seducente e castano, fine velo baffuto:

al sommo pinnàcolo del paraìso,
ben oltre del cielo le angèliche rote,
in loco ove quadro far cerchio si puòte,
il bardo sentìasi contemplando quel viso!

Usbergo dorato a scaglie indossava
e un elmo con ali in diamante lucente,
mentre ippico ferro con luna crescente
lignàggio in blasòne a erudìto svelava;

sotto indossava, qual foco avvivato,
giacca vermiglia di seta orientale
e di bianco e di rosso color autunnale
pantaloni con orlo di glifi bordàto;

pe'i bassi stivali d'ebàneo nero,
profumati sembrava sbocciassero fiori
sul pavimento, dai mille colori,
mentre ambulava con passo leggero.

L'artista piàn piano gli s'avvicinò,
del cor mal celando il battito ansioso:
un sorriso gli fece, poi inchino ossequioso,
e la man vellutata con traspòrto basciò;

l'altro un saluto con garbato vigore
accennò, eppure prìa del suo replicare,
spalancarsi di porte con squillìo di fanfàre
annunziò l'appressarsi del règio signore,

il quale, peraltro, l'accolse entusiasta,
presto nombràndolo all'èpica Tavola,
perché suo talento era sortìto da favola,
al punto che un libro per narrare non basta:

valga sol dire che lo fe' baronetto,
Sir Lancibbaffo da tutti nomato,
in tornèi cavalcando, glorificato,
con spada gemmata e stile perfetto;

al guardarlo arrossiva il bardo, scrivendo
poesie e poi ballate di fùlgido ardore,
eppur presso a lui, con glaciale timore,
per timidezza, sen stava tacendo!

Tutta la corte sapeva che bere
piacèa a Lancibbaffo il tè più pregiato,
da rarissime spezie aròmatizzato,
che solingo gustava nelle àlgide sere;

fu in una che, infine, il protagonista,
coraggio afferrando con mani ben salde,
si sforzò di parlargli, e tosto due calde
tazze emanàvan profumo alla vista:

esplorar non riusciva dell'altro il bel core,
ma, in fondo, saperlo che mai gli importava?
Sir Lancibbaffo sua Arte ispirava,
e chiamarlo era uguale, amistà oppure amore!

Scriveva di lui forse ché lo bramava,
o forse perché in un periodo sì oscuro,
assediato dai dèmoni, un porto sicuro
per l'alma creare col Sublime intentava:

fatti non fummo a vìver qual ratti
senza più un volto e ancòr meno coscienza,
bensì a piantàr fiori d'artistica essenza,
barbàrie sdegnando dei diàvoli matti!

Questo era il vòrtice di mille pensieri
che, all'altro parlando, sentìa turbinare,
allorché di lor due il gentìl dialogare
saltellando spaziava su sècoli interi:

ah! quanto ammirava tal grazia regale
mentre il tè raffinato ingeriva a sorsetti,
il guardo volgendo ai leggiadri baffetti
che adornàvan sorriso brillante e gioviale.

Avèan ambo passato la metà della tazza
e da divìder restava solo un pasticcino,
quando - che orrore! - di metallo un frustino
la porta sfondò, più dur che una mazza:

tra strilli selvaggi misti a flatulenza,
irruppe uno gnomo d'aspetto mostruoso,
che melma grondava da manto cencioso
e a gridare iniziò con dannata veemenza:

«Silenzio! Via l'Arte! Uguali, vi ho detto!»
e infranse, con frusta, del bardo la cetra,
mentre la sera parèa farsi più tetra
e ululati selvaggi s'udìan di furetto!

Era la corte, anzi tutta sua landa,
presa d'assedio da demònica setta
che agenda volèa, dal Ciel maledetta,
imporre ad ognuno e sul viso mutanda!

Scorgèa nello gnomo, peggiòr che faìna,
il vuoto abissale che avèa sbigottito
un amico pittore quando era fuggito
di malvagio intendente da reggia in rovina:

pensare par giusto che ambo fossero agenti
di tal culto inìquo che detesta l'umano,
«uguaglianza» citando ovunque ed invano
mentre intorno volèan solo scimmie obbedienti!

Sdegnato levòssi il sublime castano,
di natura tal scherzo per discacciare,
ma non trovò più la forza d'algùn passo fare,
ché violenta esplosione s'udì da lontano:

nella cittàde il massiccio torrióne
della muraglia era in fiamme crollato,
ché, di sotto al glaciale cielo oscurato,
l'àere fendèva un grottesco bestione:

alla vista decrèpito ìncubo nero
più della pece, feroce e spietato,
da una mummia del culto appena evocato,
fuoco e disastro sputava severo!

Al levarsi del mostro, con grido trionfale,
in orgia di odio contro i concittadini,
d'ogni rango i cultisti ad amici e vicini
danno arrecàvan per ipnòsi infernale!

Preso da ìmpeto esìbizionista,
lo gnomo sfoggiò d'empio culto i suggelli,
mentre da spalti irridèva i ribelli
che s'opponevano al terròr demonista;

frattanto una iena bruniccia e un po' gonfia
senza posa disprezzo contro lor vomitava,
che andàsser con carro annientati gridava,
al leviatano chinàndosi trónfia;

forse dei tre era men peggio il furetto,
nonostante il carattere collèrico e orrendo
pe'l vuoto cervello che, a chi stesse leggendo,
lo portava a ringhiare con schiumante dispetto!

Ah! Quale scempio in tal notte brutale,
ove i demonisti credèronsi scaltri
e, all'inferno obbedendo, mal fècero agli altri,
sol pòscia accorgendosi d'errore fatale:

ché gli esperimenti di necromanzìa
davan potère alle creature più rare,
mentre gli omìnidi qual birilli a cascàre
cominciàron per colpa di proibita magia!

Coi sensi atterrìti da simile orrore,
al giunger di scossa d'un terremoto,
il dolce poeta scivolò e giù, nel vuoto,
cadde, ma appiglio trovò in un bel fiore:

era una rosa, di galante passione,
cresciuta su un muro da ispànico seme
portato dal vento, e d'angelica speme
fu segno per lui, che rimbalzò su un tendone.

S'abbatté infin la bestia, ma non i cultisti
che invocata l'avèan - e il nòbil cantore
più tanta fiducia non sentìa, né calore,
per landa colpèvol d'eventi sì tristi;

eppure, la rosa stringendo sul cuore
e mille altri fiori da giardini lontani,
di Lancibbaffo pensò ai baffi castani
e in Arte suo fàscino celebrò con candore:

avrìa più rivisto quel magnifico viso,
magari ante tazze di buon tè fumanti?
Non poteva saperlo, ma di andar sempre avanti,
tra studi e creazioni, aveva certo deciso.