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Un regno al tramonto

Secoli or sono, in terra lontana,
bottega tenèa un pittòr di talento,
la cui fiamma d'Arte, briosa ed arcana,
a pìnger lo indusse di quadri oltre cento.

Dopo solo algùn mese in bècera corte,
dove anco di notte le iene ammaestrate
spalavano fango, maldicendo la sorte,
di rudi figuri alle irose frustate,

tentàr volle sua stella, missiva inviando
a un magico regno, ove un imperatore
da decenni era ìnclito ai paesani portando
d'eleganza lo stile ed il vivo colore:

il sovrano l'accolse con tutti gli onori
nel suo tempio splendente, che ricambiare
volle l'artista, gran capolavori
pingendo ed il pubblico solea stupefare.

Per la reggia incontrava da ogni paese
persone a decine, che ogni dì salutava,
e tal gesto, pur piccolo ma tanto cortese,
la solìnga sua alma di gioia scaldava.

Un laboratorio con due altri pittori
condivideva e bei giorni felici,
pur tra tanto lavoro, così che i dolori
d'ogni esistenza svanìano tra amici:

uno era alto, vigoroso e prestante,
eppùr non nei cànoni che al protagonista
facèano con ansia il cor cèler pulsante,
ma d'ingegno acuto che da media assai dista;

l'altro era infine dei tre il più maturo,
a tratti un po' burbero e a tratti burlone,
ma garbato e brillante, sì che duraturo
era il vìncol che univa tal creative persone.

Quando in pausa lasciavano le vìvide tele,
tra i fasti sedèvan d'allegra locanda,
in fresco parchetto ove spiegàvan le vele
gli àurei gazebo d'aràbica landa;

al trio spensierato spesso s'univa
biondo prestigiatore dai signorìl modi,
che al passàr d'una dama, pensosa o giuliva,
con chiose di classe ne tesseva le lodi:

proprio costui, di parvenza facèta,
ai cortigiani rimasti insegnò dell'onore,
qualche mese più tardi, l'essenza concreta,
quando infernàl marchio rifiutò con valore.

Ma allòr volgèa ancora il tempo, gaudente,
a fine giornata, prossim'a cena,
quando brezza leggiadra levòssi da Oriente,
mentre a Occàso il vermiglio adornava la scena:

cotànto splendore, al dolce cor di poeta,
l'incanto pareva d'un tramonto sul mare,
così che risolse figurarlo in sua Arte,
per quel sol vespertìno in eterno serbare.

Riassumendo, era proprio il gentile pittore
di quell'atmosfera assai soddisfatto,
per cui s'impegnava a tutte le ore
nel migliorare di pittura il suo tratto.

Ma, ahimé, l'entropìa è implacàbil costante
d'ogni universo, e qui note dolenti
cominciamo a sonare, in un inquietante
crescendo d'obbròbri ognòr più indecenti.

Orbene, quel regno così spensierato
destinò pochi fondi ai propri soldati,
sì che d'improvviso si trovò conquistato
da un impero di tènebre dai modi non grati;

ma sul trono era assìso ancòr l'ìmperatore,
col buon siniscàlco dal parlar melodioso,
che all'occhiello tenèa tulipano per fiore,
e con loro alla guida era ognùn fiducioso:

a un buffet addirittura il pittore erudìto
un breve dialogo in idiòma elegante
azzardò con costui, non intimorìto,
anzi di pensieri fu scambio brillante.

Ma arrivò, al primo buio, novello intendente
dei sottoposti - o servitù - a comandare,
le amichevoli leggi, con scatto repènte,
in distopici mostri cominciando a mutare:

«Non avrete più un seggio e felici sarete»
riassume il monòlogo suo d'apertura,
mentre al nuovo potere sol parole liete
potèansi dirigere qual brutàl dittatura;

come scrisse a ragione un'autrice famosa,
né saggio, né santo si dedica al male,
e, infatti, da quello irradiàvasi a iòsa
di concetto e di spirito un vuoto abissale.

Al pittòr fu vietato in regale gazzetta
vergare i suoi articoli sovr'Arte studiare,
perché, non essendo zerbìno o scimmietta,
potuto avrìa altri valorosi ispirare:

sol s'ammettèvan pecorelle belanti,
tutte in ginocchio e con lingua usurata,
che frizzi smodati e lodi incessanti
riversàvan con smania indemoniata!

Addirittura, un mal dì, in accademia,
il bravo pittore avèa un concorso stravinto,
ma non gli diedero il premio o, almeno per vènia,
neppure d'allòro lo menzionarono cinto:

della scuòl di pittura sullo scranno maggiore
avèan posto una scimmia che parlàr non sapeva,
bensì celebrare ogni peòr dittatore,
ebbra ruttando quant'intendente scriveva,

così che all'artista, tan fiero e brillante,
in mille e più modi solèan ricordare
che non era gradito al buio avanzante,
tanto che fino il nome ne volèan cancellare;

irònicamente, tal belve feroci
si pingèvan le zanne d'inclusione e amistà,
quài dèmoni che, dopo un misfatto, veloci
da pagliaccio si trùccan simulando bontà!

Sentìasi il pittore sempre men speranzoso,
ma pur era leale al saggio sovrano,
il cui podèr, tuttavia, ogni dì più a ritroso
recedèa in uno scettro men saldo in sua mano.

All'imbrunire via via più avanzato,
arrivarono a imporre, per carrozza o carretto,
inìqua norma, che avrìa decretato,
poi su scala più larga, demòn maledetto:

per salìr fu richiesto al cocchière mostrare
talismano intarsiato che parèa omaggio bello,
ma che dopo assai poco dovrìasi acquistare
al braccio marchiando di bestia il suggello!

A quest'onta aggiùngasi che, di gran decadenza
a piena conferma, lanciòssi un progetto
di ciarle malsane, delaziòn, maldicenza,
ma solo tra pari o da vassallo a soggetto:

pur con tutto il suo stile, il pittore celare
non poteva la nausea per tal malcostume,
ché persone e talenti volèansi umiliare,
al par di bestiame o montòn di pattume!

Del resto, aumentava in lui il forte sospetto,
vicino, a ogni passo, più a salda certezza,
che il nuovo potere ad un circolo abiètto
fosse affiliato, di feràl spietatezza,

che complottava per restauràr l'evo oscuro,
sotto il tallòn di militàr stivaletti,
pòpol trattando come gregge immaturo,
coi governi ridotti a suoi gabinetti!

Di sera s'abbatté un uragano mondiale,
che cortesia e civiltà pose invero a cimento,
dal quale, peraltro, assai uscirono male,
pei malvagi cultisti che iniettavan spavento;

eppure financo in quel caos demenziale,
come ultimo dono di maestà equilibrata,
permise il buon rege a ciascùn per sue sale
di continuar con sua Arte onorata:

il protagonista, per rendergli omaggio,
migliorò senza sosta il fulgente splendore
di tutti i suoi quadri e persìn d'altro saggio,
pennellate dosando di superbo colore;

con alacrità, poi, che parèa sovrumana,
forse veggendo che ormai il tempo iba estinto,
dié gran priorità ad un'opera arcana,
a quel che era allora il suo sommo dipinto!

Fu allòr che sonarono di mezzanotte,
l'un dopo l'altro, i rintocchi fatali,
e il gentìl siniscàlco, giunta la notte,
fu congedato a sue lande natali:

si venne a sapere solo un poco più tardi,
ma l'èsodo, intanto, s'andava aumentando
d'ogni artista ribelle ai capricci testardi
dei nuovi regnanti, che ormai stàvan sclerando;

era infatti rimasto il solo intendente,
e, sopra di lui, neo-reggente di pezza,
mentre al vero sovrano restava ormai niente,
sì che infine ordinàron lor più folle monnezza:

pubblicarono un bando che a tutti imponeva,
con bòria più vile che impareggiata,
di tornare ai cantieri - ma ciascuno doveva
soffocàr con sul volto mutanda insozzata!

In effetti, è ben noto che ai mostri d'inferno
repelle dell'anima sul viso il brillare,
poi volèan dar disagio e percuòter con scherno,
sì da peggio che bestie gli umani trattare:

pieno d'orròr per queste e altre ragioni,
si decise il pittore un visetto piangente
a tratteggiare sul papìr dei demòni,
i pensieri esprimendo che celava la gente;

ma non sollevato avèa la matita dal foglio
che s'alzàron le strida di megèra con rogna,
la quale stracciò di Libertà il bel germoglio:
tal s'era ridotto quel buco di fogna!

Fuggì anco il pittore, e dopo lui tanti ancora,
ma prìa di partire, con suo ardito pennello,
cesellò sul dipinto, in quell'ultima ora,
il tocco finale dell'Idea stessa del Bello!

Superfluo par dire che le bestie infernali
onori non resero al nobile artista,
che caricò sua valigia, scendendo grand'ali
di scale recanti d'uscita alla vista:

presso il cancello, tra le aiuole in fiore,
salutò con tristezza il buon giardiniere,
come anco il garbato prestigiatore
e vari altri amici dalle umane maniere;

molti di loro, già all'ora seguente,
per gli abusi scimmieschi dei nuovi padroni,
lasciàron quel posto ove un grigio opprimente
presagire lasciava solo umiliazioni.

Per ore vagò tra le steppe gelate,
sotto un cielo notturno, in pàesaggio fosco,
fino a che, sotto l'ègida di stelle dorate,
a prim'alberi giunse d'un magico bosco:

là trovò elfi, orsi e altri che in rime
superfluo sarebbe qui stare a contare,
ma come niùn altro lo rapì il più sublime,
il cui fascino arcano non puòssi spiegare:

tra fiori e profumi, sotto luna splendente,
da usbèrgo fatato qual sole irradiando,
un drago magnifico, di quelli d'Oriente,
con soavità empìrea stava tè sorseggiando!

Dell'universo parlàron, pacati,
ma in animo avèa il pittore ansietà,
ché cercare voleva, coi colòr più pregiati,
di catturarne l'ineffàbilità:

la cosa che più lo turbava nel drago
era degli occhi l'espressione profonda,
che d'un dipinto in vìvida imago
non riusciva a fissare con sua Arte gioconda!

Avrìa tanto l'artista ancòr voluto parlare
con quella creatura ai suoi sensi preziosa,
ma un gelido vento levòssi a ululare,
buttando per aria in suo mondo ogni cosa:

dapprima comparve uno gnom ributtante,
che strillando rompeva ciascùn bel quadretto,
mentre abbaiava, con rabbia schiumante,
contro studiosi suo idiota furetto;

in entrambi al pittore sdegnato sembrava
scorgere tratti del gradasso intendente,
anzi, a ben dirla, persìn sospettava
che i tre appartenessero alla stessa corrente!

A colmo d'orrore, della più oscura pece,
per l'ali di bestia cruèl, maledetta,
senza più stelle il cielo si fece,
mentre al potere salìa infernàl setta:

quel drago demònico, làido e abusivo,
iniziò a buttàr fuoco da sòrdida bocca,
svellendo l'incanto del sogno boschivo,
con sua orrida ombra, che annienta se tocca;

sbeffeggiava lo gnomo quanti in strada gridavano
di pèrfida bestia agli eccessi smodati,
mentre una iena che i due seco portavano,
dicèa che con carro avrìa i moti schiantati!

Del Fato le onde raccontare non cale,
basti qui dir che l'inferno si scatenò
contro brave persone, facendo lor male,
eppur gli obbedienti assai più danneggiò:

il pittor valoroso, rimasto ancòr solo,
risolse, con zelo, nuovi mondi esplorare,
ma del drago soave, qual arcàdico polo,
l'essenza in sua Arte non volle olvidare.