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Il re di fiori

In tempo lontano, dai più già olvidàto,
di landa remota, svanita oramài,
asceso da poco su trono dorato
era giòvin castano, di cui càntan lai:

i baffi lisciàndosi con aria pensosa,
pioggia lenta cadendo in uggiòsa foschìa,
a lato spostando di seta preziosa
ampia tenda, mirava con malinconìa.

Pozze addensàvansi nel vasto arancèto:
che dolci sarìano ben presto i suoi frutti!
Ricordo èran vago allo spirito inquieto
per lunga trafìla d'orrore e di lutti:

ogni goccia, che ondìna per pozza increspava,
uno dei mille e più mille soldati
su neve caduti al cor rimembrava
per colpa di loro superiòr scriteriàti!

Il suo stesso padre, dopo aver sostenuto
demonìaco buffone aspirante tiranno,
nel cuor della notte avèa irrìso e cornùto
l'intera sua patria, fuggendo d'inganno,

milioni, anco i figli, lasciando a perìre,
corona cedendo al prence rimasto,
cui ora toccava cercar rinverdìre
àrbor bruciato da rege nefasto.

Sorella! Sorella! Or mai dove sarìa?
Dall'orrida notte più non era giunta
notizia sua alcuna per alcuna via,
ma in cor non osava temerla defunta!

Su lunghìssima tavola, cui un posto restava,
trasse una tazza di buon tè d'Oriente
da teiera fumante, che assai profumava
di spezie pregiate d'aroma suadènte;

tal porcellana, in piattìn cesellàto,
seco portò per la reggia deserta,
ove solo abitava, da corte obliàto,
finché porta scorse rimasta un po' aperta:

era degli avi la gran biblioteca,
ricca dei libri più rari e preziosi,
di cento culture, da egizia ad azteca,
tesaurizzati da illustri studiosi;

oh, quànto avèa letto, fin da bambino,
e quàl gran piacère lo studio gli dava!
Tanto che i pòsteri al mismo cammino
illuminato condùr deseàva...

...ma ancòr resistito avrìa la corona?
Nelle strade cresceva ruggente furore
contro gestiòn che dirìasi burlòna
se colmato un Paese non avesse d'orrore!

Eppure sua ìndole era d'uomo leale,
sì che risolto avèa al pòpol lasciare
libera man su chi nave statale
dopo turpe bufèra dovesse guidare;

sfogliò un grosso tomo, di polvo coperto,
«Di Confucio le massime» in cinese miniàto,
con tono leggendo un po' lento ma certo,
sebbene per anni non l'avesse studiato.

Davvero talùni volèanlo scacciare?
E qual mai potere avrìan celebrato?
Ché règio scettro cambiàr con fanfàre
talvolta funziona, ma sempre è arrischiato!

Fissò il mappamondo, che sfera piccina
stavolta gli parve, dopo sì vasta guerra,
chiedèndosi il senso che tanto meschina
di podèr bramosìa trovar puote in terra:

legali o abusivi, Ciel ònnipotènte
credèansi governi e lor folle esultàvan,
del diavolo tessera agitando contente
finché, schiavi ovìni, qual mosche cascàvan!

Ma più non pensàvan dei figli al futuro?
Da sibilàr di serpenti èran ipnotizzàti,
come d'un circo scimpanzé con tamburo
che sul muso pòrtano stracci sudati!

Dei suoi studi antichi rivide gli allòri
dai tempi ove Scienza era ancòr decorosa,
insieme al bel premio assegnato ai migliori,
quando valòr venzèa a scimmia ossequiosa;

tosto al pensiero del gran colonnello
la paràbola mesta che franco scrittore
etternò per mostrare il bacàto cervello
di masse arriviste, gli tornò con agrore:

più l'avèano amargato che altri e deluso
i tanti accademici con lingue usurate
o in colpèvol silenzio, al vedere preclùso
ogni umano diritto a persone onorate!

Del resto, a che mai può servire cultura
se non a portare più luce nel mondo?
Cortigiana facendosi lacché di sozzura,
di gràn peto d'asino ha il suono profondo!

Povera Scienza! Ancor risuonàvano
proclàmi alle orecchie e solenni caproni
che più pòntificàvan, più oro intascàvan,
di gorilla gli abusi lodando e demòni!

Il pluviàl tintinnìo sul tetto sfumando
da vago sussurro andava ormai in quiete;
allòr, di riflesso il soffitto mirando,
da ingegno stupìto fu d'adorna parete:

che vivo spettacolo! Con ombre danzanti
di candele alla fiamma, mirabile al guardo,
un planetario le stelle distanti
e altri corpi celesti mostrava gagliardo!

Pian piano chiuse, con sommo rispetto,
del vago tesoro aurate le porte,
in core albergando glaciale sospetto,
di maiali temèndovi le zampe ritòrte.

Il tè sorseggiando, per angùsto, oscuro
corridoio passava quando, pur lieve,
bagliore costante da un lato, sul muro,
attirò sua attenzione qual càndida neve:

mìstico affresco d'elegante e leggera
ma intensa tintura, glorificando
San Giorgio che, al cùlmine di pùgna fiera
con mostro feroce, trionfa esultando:

un orrido drago, decrèpito e nero,
fuoco sputava da fauci corrotte,
ardendo villaggi per rendere fiero
padròn suo d'inferno, che tiene ali rotte!

Tal belva, che secoli ruggendo andò invitta,
non potèa fare a meno di detestare,
eppure, al vederla con forza trafitta,
di sè metà ignota pur sentì lacerare!

Contemplava, il buon rege, fisso mirando,
ai compatrioti un pensiero affannoso
volgendo, al timòr che in futuro, lasciando
via retta, obbedissero a cultista insidioso:

sòrdida mummia che, finto-buonista,
con ghigno rognoso Libertà calpestasse
e da porta infernàl per suo clan demonìsta
quel mostro di fiamme contro lor scatenasse!

Matta mummia asservìta ad orròr sconosciuti,
avvelenato avrìa intera nazione
al par dei soldati sul fronte perduti,
a ghiàccia d'inferno votando sua azione!

Ma credeva impossibile cotàl pòpol bove,
proseguendo il suo giro e la dolce bevuta,
mentre di sera sonàvan le nove
da pèndola d'èbano in atrio tenuta:

lì proprio era giunto, all'immenso scalone
in cima, coperto d'acceso velluto,
marmòrei scalini dove persone
a mille solèano stare ogni minuto!

Ricci, archeologhe, prestigiatori,
cortigiàn, elfi, orsi e pur giardinieri,
pinguine, ingegneri, osti, pittori:
estranei èran oggi gli amici di ieri;

non li avèa mai capiti invero del tutto,
e di certo reciproco era il sentimento,
ma del diavolo pecore vederli era lutto
pari a loro svanire ad infàusto momento!

«Speriàm valòr tròvino di riscattarsi!»,
pensava scendendo rampe di scalinate,
d'arazzi ammirando gli aràbici intarsi
che candèl riflettèvano ognòr più consumate;

chi da ìnfimo mal fu ingannato e ferito
può e spesso deve poi punirlo tenàce,
qual penitenza per avergli obbedito
e di brave persone offuscato la fàce!

In fondo arrivato, posò la tazzina
sul corrimàno, bei baffi asciugando,
al dolce ricordo dell'orchestrina
novello concerto ogni sera sonando:

di vàlzer e danze dal mondo intero
la sala avvolgèvano armoniosi colori,
destando negli ànimi stupore sincero,
tra farfalle e magiche distese di fiori,

combinando fragranze tra le più rare,
che i suoi trent'anni d'ardore colmàvano;
tutta una vita sembrando durare,
d'appassimento ogni cura scacciàvano!

L'imago evocò in sua alma il ricordo
d'erudìto coetaneo che sol qualche mese
fu presso corte metèora, in accordo
alle trame del Fato, che umano mai intese:

che buon garbo avèa, e che immensa cultura!
Encìclopedìa parèa intera e vivente,
ma pur era uomo, ché imperitùra
per quel prence fiamma celàva potente!

Stava una sera l'abituàl tè bevendo,
le stelle ammirando dalla finestra,
quando di note sentì un bel crescendo,
una csárdas suonata da tutta l'orchestra;

discese all'adorno salone da ballo
ove, tra tanti, vide il sommo studioso,
che un raggio frangeva per puro cristallo
e proruppe, al vederlo, in sorriso radioso:

sentiva in cuor suo che il savio la mano
voluto avrìa prendergli e insieme ballare,
forse per sempre, per pàlpito arcano
che quei regàl baffi l'induceva a baciare!

Ma che storia assurda! Era sciocca impressione!
Fe' ritorno al presente con logica certa,
poiché gli pareva che ormai nell'andròne
di fogna foss'aria, stagnante e sofferta;

l'ampio portone in mògano saldo
aprì con fatìca, leggiadro avvolgendo
sul petto uno scialle di tessuto caldo
tra lumi, da solo, un sentièr percorrendo:

con tenebre intorno pungenti qual rovi,
risoluto tra nebbie ma in luce avanzando...
Oh, maraviglia! Tra erbacce, pur nuovi
selvàtici fiori già stàvan sbocciando!

Non erano quelli del regio vivaio,
e tanti di loro nemmèn gli èran noti,
ma che profumo! Qualunque fioraio
carpìrne vorrìa certamente le doti!

Dall'olezzo rapìto, ormai più non pensava
a quèl gregge odioso e da sè condannato,
che d'ogni peggiore al volere latràva
e avèa buona gente di fatto esiliato,

anzi, le ore passavano leste
mentre dei pètali le sfumature
esplorava, dal viola, al giallo, al celeste,
sotto di stelle benèvol figure;

anco sorse la Luna, più che mai intensa,
d'argento irradiando suo crine castano,
règia bellezza elevando ad immensa,
quand'ecco gradiente levòssi là arcano:

era l'aurora via via più splendente,
che di verde la volta stellata pingeva,
con delicatezza che, a un drago d'Oriente,
affettuoso un antico poeta volgeva.

Notava addensarsi per l'orizzonte
spietate ed oscure nubi temporalesche,
del passato grigiore demònica fonte,
ora forse più dense di trame guerresche:

di fiori selvàtici fresca corona
si pose sul capo come allòro glorioso,
d'infernale tempesta, che lugubre tuona,
intènto a evitar l'appressarsi rabbioso;

tra lampioni di stili vieppiù differenti,
proseguì, con gran zelo, lungo il cammino,
ricordi lasciando aspri e dolenti,
cercando sua strada, rivolto al mattino.