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La mummia infernale

Or sono millenni, nell'antico Egitto,
prima persino dei gran faraoni,
crueltà concupiva, più che profitto,
un vile che affine sentìasi ai demòni:

come scriba formàtosi con leggi su tavole,
di Giustizia imparare avrìa dovuto l'essenza,
ma finànco da giòvine, credèndole frivole,
derideva bontade e sdegnava innocenza!

Con loschi maneggi e discorsi mendaci,
che parèano eccessivi anco ai malavitòsi,
di lui pur men spietati e meno rapàci,
ascesa sociale fe' con mezzi insidiosi:

di reggimenti dell'esercito in fiore
spregiudicato assunse il comando,
sì che tanto potere ancòr rese peggiore
lui, che instancabile l'andava bramando:

d'ogni gorilla che danno facesse
agli umani e più ai giovani, fosca bandiera
sventolava orgoglioso, senza che stesse
dormiente coscienza ergendo barriera;

anzi, al contrario, Marte lodava
se al suolo radeva paesi innocenti,
purché la belva che vite falciava
lealtà ricambiasse con mar di provènti!

A niùno rispetto, insomma, rendeva,
sì che persino da fogna innevata
folle buffone minacciare poteva
popolazione da nessùn tutelata!

Avvenne una notte sinistro prodigio
degli abissi coi quali da tempo intentava
porsi in contatto, e da oscùr cielo grigio
a scrosciàr si dispose un diluvio di lava!

Dall'estremo occàso, più lungi dal sole,
d'improvviso comparve in sue stanze un demònio,
seco traendo segugio a tre gole,
che di loro empio patto fu bestiàl testimònio:

sacrificando innumerèvol soldati,
d'altro regno inviati a gran guerra interna,
da influsso d'ignota sostanza irradiati,
ottenuto costui avrìa infìn vita eterna!

Senza rèmora alcuna, con trasporto accettò,
ignari soldati al massacro inviando,
sì che, giunto a una soglia, si trasformò,
ma non nella forma in cui stava sperando:

umana parvenza perdette all'istante,
i denti cambiando non con marmo fino,
ma latrina scheggiata maleodorante,
i capelli con ìntimi peli d'un babbuìno!

Per celare la pelle all'osso aderente,
ormai velo di rettile verdastro e marrone,
strati di cera applicava, la gente
ingannando che ascolto ancòr desse al sermone,

eppùr, volta per volta, nel declamare
dall'alto frottole d'asìl più infantili,
giradischi inceppato parèa anticipare,
mentre più sudditi diventavano ostili,

tanto che seco iniziò spesso a portare
coetanea strega a lui sìmile in tutto,
che sacro Umanèsimo volle abbandonare,
brutàl convertendosi in diabòlico rutto!

Sovente giravano con ghignosa bàmbola,
da loro animata per derubare influenzando,
ma via via più scortati, così che la tòmbola
superàvan le bighe costoro scortando,

al punto che, essendo egli pure vigliacco,
un dì che la gioia fu d'Egitto intero,
il potere lasciare risolse, uno smacco
evitando e svanendo nel fitto mistero.

I millenni passarono e con loro gli imperi,
da cuna al polvo sorgendo e crollati,
ma qui vuolsi parlare dei bei cavalieri
che gli umani valori difendèvan più onràti:

sotto la guida del sommo re Artù,
del regno di Càmelot fiero èran scudo
e vìndice spada, proteggendo virtù
contro Morgana e ogni suo feràl drudo;

alla Ròtonda Tavola tra tutti spiccava,
con baffi castani lucenti qual sole,
su un volto che i cuori addolciva e incendiava,
paladìn sì magnìfico da troncàr le parole,

Sir Lancibbaffo, in suo poema cantato,
ché d'un drago d'Oriente eguagliava maestà,
e in mille ballate di bardo ispirato,
celebràndone, ardente, valore e beltà.

La vita, plàcida, scorrèa in beata landa,
ognòr sotto l'ègida di savia corona,
ma pure una forza che nell'ombra comanda
su schiere di dèmoni ordiva truffona:

spie mandato in segreto avèa ad irretìre
persone e financo algùn più belluìno,
come gnomo barbuto che artisti vedere
non riuscìan senza spregio, per l'odioso frustino!

E con lui stava furetto rissoso e perverso,
pepe tintinnando per cranio deserto,
a studiosi ringhiando, non da iena diverso,
caprona e bruniccia, di malànimo certo;

d'un culto demònico a civiltà ostile
cotàl tre balordi esprimèvan l'orrore,
che avèa preso il potere sovra fognoso ovìle,
prìa decennàl reggia, senza più Imperatore,

sì che nuovo progresso colà s'esigeva,
landa più estesa conquistare bramando,
pertanto la mummia, che ancòr s'ascondeva,
fu tosto chiamata, altro podèr consumando:

nonostante il passare d'incontàbili eòni,
nulla v'era d'augùsto in tal fiera funesta,
anzi manco i peli di scimmia in testa avèa buoni,
ridotti com'erano a d'erbacce una cesta,

ma più forte era smània di servire l'inferno,
mista a imbarazzante vigliaccherìa,
sì che restava, di quel guscio all'interno,
né coscienza né un guizzo di cavallerìa!

Dopo stratagemmi e reclutamento
di cultisti novelli, da lusinghe ingannati,
dapprima silenti qual ombre nel vento,
lor agenda decisero attuàr, scellerati:

in tragica notte, dai più non olvidata,
irruppe la mummia nella gran cattedrale,
cerimonia iniziando quanto mai depravata,
per aprire sul mondo una porta infernale!

Frattanto, il buon bardo entusiasta sorbiva
pregiatissimo tè insieme al suo beneamato
Sir Lancibbaffo, e dialogando scopriva
che l'ideàl del suo Prence era in lui realizzato:

d'amor stilnovista la fiamma s'accese
verso il nobile mastro dai baffi castani,
Amor che si dona con eleganza cortese,
mai osandone imporre soavi palpiti arcani.

Ma, nel frattempo, per l'intera città,
s'eran sparsi i cultisti attuando un tranello,
ché indùr pretendèan, con mendàce slealtà,
cittadini ad accogliere di bestia il suggello,

onde avere altri schiavi, o semplicemente
d'energia vive fonti mentre porta s'apriva,
ma ciò che, in effetti, risultò più sconvolgente
fu gregge vasto e babbeo che ciò non capiva,

anzi molti accettavano invèr di buon grado,
senza pensare al perché o a conseguenze,
lor sorte affidando ad un tiro di dado,
fratellanza tradendo per infernàl influenze!

Sul vassoio restava solo un pasticcino
al tenero bardo già innamorato,
quando irruppe rabbioso, con làido frustino,
il sòrdido gnomo, di melma insozzato;

durava tal scena da qualche secondo,
quando il varco per gli inferi si spalancò,
sicché la mummia, con un ghigno immondo,
in tono trionfale, così proclamò:

«Civiltà non s'invochi, qua invochiamo il demonio!»,
ràncida carne da fauci sputando,
allòr che terrore ciascùn comprendònio
invadeva per bestia dal portale marciando,

l'antico drago, più nero che pece,
ma simile in tutto a un caprone sgraziato,
da ghiaccia del Còcito ingresso suo fece
in quel regno poètico ed immacolato,

riversando, dal cielo, un fiume letale
di fuoco, terrore e gran distruzione,
mentre gli empi gradassi, con arsenale,
perseguìvan l'onesta popolazione!

Eroi coraggiosi s'opposero arditi,
del culto la tessera criminale sprezzando,
ma i bandi èran ambo invero agguerriti,
benché stesse gli onesti Artù pure aiutando;

la pugna sembrava durare in eterno,
ma l'inaspettato avvenne repente,
ché a cadèr qual birilli, destinati all'averno,
cominciàron cultisti, ad un ritmo crescente:

in lor vene correva un tossico intruglio,
dai necromanti più incompetenti bollito,
d'osceni ingredienti demonìaco miscuglio
come esperimento a pecorelle servito!

Vinta fu la battaglia, ma restava la guerra
contro quel podèr ìnfimo che avea cospirato,
il quale mai posa avrìa finché terra
non avesse a un inferno di schiavi mutato!

Si ritirò il drago nero, ma infine trafitto
fu da lancia di Giorgio, per man d'un valente,
quando, un po' dopo il narrato delitto,
volèa estèndere artigli su intèr continente;

matta mummia, al contrario, come al solito vile,
nell'ombra a svanire riuscì ancòra una volta,
pronto a colpire senza il minimo stile,
se il padròn suo chiamato avesse a raccolta;

lo sventurato ma indòmito artista,
da alta torre caduto, salvo per un telone,
dei suoi tanti sforzi allontanato da pista,
non pèrsesi d'animo e proseguì con passione,

ma fu a lungo in sue opere sovente onorato
Sir Lancibbaffo, con cui lieto parlò,
dai baffi dolcissimi, che avèa desiàto,
e un fàscino arcàno che in cor suo mai olvidò.