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Apocalissi scimmiesca

Sul finìr del meriggio, un giòvin poeta
passeggiava sereno per borgo minuto,
pian fischiettando, assai compiaciuto,
dal cor trasportato senza precisa meta;

ma quando del cielo il sovrano lucente
si pose a tangenza dell'orbita in punto,
suo raggio indicò negozietto che giunto
era al vago paesino dal lontano Oriente:

entrando trovò, stupefatto, del mondo
tavolozza pintòrea dai mille colori,
tra farfalle, matite, congegni e bei fiori,
che d'Arte poetica son stìmol fecondo!

Dopo lungo esploràr s'appressava all'uscita,
ma da zèfir soave nome suo fu chiamato:
il guardo in tal verso di scatto aguzzato,
di statua s'accorse dietro tenda fiorita!

Dalla più nobile giada intagliata,
vita traeva creatura maestosa,
di possente magia, che linea sinuosa
irradiava con grazia ineguagliata;

a guisa di scaglie avèa gemme preziose
ove luce rifratta si moltiplicava,
sì che un'iride intorno a sé proiettava,
dai baffi emanando incenso di rose;

il poeta da sempre sentìasi ammaliato
dal bello, ancòr più se d'incanto speciale,
per cui uno tsunàmi tal opra ancestrale
scatenare facèa in suo spirto estasiato!

Dopo attimi intensi ove il core rovente
cercò di temprare con stòico pensiero,
d'un passo si mosse, curioso e sincero,
ma nuovo prodigio avvenne repente:

il tempo e lo spazio parèan divenire
di pastafrolla, curvàndosi a iosa,
tremolando d'intorno alla statua radiosa,
con forte vertìgine non intenta a finire!

Avanzò un altro passo, ma d'improvviso
la bottega svanì, sotto un cielo infuocato,
senza pareti, in un desolato
e rosso deserto pur gelido al viso:

cos'era accaduto? E la nòbil creatura?
Sol dune sanguigne fino all'orizzonte
stendèvansi mute senz'àrbori o fonte,
silenti apatìa emanando e bruttura!

Quand'ecco una raffica di trombette anali,
indistinguibili da gran strida miste
pien d'isterìa già rendèvan più triste
l'alma in ascolto sui dossi infernali:

non molto passò che su un mulo al galoppo
sol d'ossa fatto ma del fante più colto,
uno gnom da giardino con muso, non volto,
di barba lercia, disgustava mai troppo!

«Liberi tutti, ma come io comando!»
sputacchiando gridò, schioccando un frustìno,
«Arte ripudio, vo' schiavi a festìno
che bàllino in fango, lor ego affogando!»

L'artista, che amava il buon gusto barocco,
sbigottito ascoltava la stridula voce
che vetro di specchio scheggiare veloce
potèa con suoi strilli in accento farlocco!

Dietro seguiva, scurìto negli occhi,
con nòbil vestito ridotto a brandelli,
dalle zanne schiumando bava e vermicelli,
furetto rabbioso dal pel pien di pidocchi:

con l'ansimàr di coyote selvaggi,
i tratti acquisendo d'un cèrbero folle,
bramoso addentava di sabbia gran zolle,
miste col fango dello gnom nei paraggi;

al vedèr quel poeta così delicato,
assai colto e studioso, si mise a ululare:
come in esorcismo iniziò a sbeffeggiare,
suoi libri irridendo con latràr scatenato!

Dopo quel bòtolo cui sol pepe in testa
rimbombava a granelli in metallico vuoto,
allòr che le onde di fatàl terremoto
preannunciàvan sciagura epocale e funesta,

colà s'appressava altro selvaggio mostro:
una iena bruniccia, paffuta e deforme,
di mosconi attorniata in nuvola enorme,
letame spargendo dal ghignante rostro!

«Schiacciate i ribelli che il lasciapassare
per entrare all'inferno già in vita ricùsan!
Con noi mille diavoli qui tutti li accùsan,
ché osano il Cielo e non sterco ammirare!»

Ciò detto, una raffica scaricò d'espressioni
una dell'altra più oscena ed a caso,
un'ora ignorando il poeta dissuaso
dal trovàr empatìa presso quei tre demòni.

Infine al clamòr delle angèliche trombe
che preannunziàvan la fine del mondo,
voràgin fendendo su abisso profondo,
già disserrandone le catacombe,

il quarto arrivò, gran sovrintendente
che nobile reggia un tempo fiorìta,
con pugno di ferro avèa imputridìta,
d'agenda malèfica cultista obbediente!

«Nemmeno più un seggio, e sarete felici!»
con bertuccia gridava imbellettata,
la qual strimpellava assai infervorata
motti grugnendo a ragione nemici:

«Al drago di tenebre gloria sia fatta!»,
tra rutti smodati intentava affermare
per l'alto scranno che, indegna, a scaldare
di pittura fu posta in scuola ormai sciatta!

Ma il picco d'orror giunse quando più oscuro
del mismo vuoto il ciel tutto si fece,
ché decrèpito drago, più nero che pece,
dagli abissi infernali emerse in congiuro!

Il poeta, da bocca, pancia intera vuotò,
tanto disgusto tal belva destava,
la quale, feroce, zolfo e fuoco sputava
finché nube di tessere dall'alto gettò:

tra lor tutte uguali, all'inferno stampate,
d'anonima pecora recàvan l'effigie,
senza decoro e per cenere grigie,
di pietà negazione dimostrando sfacciate;

sopra ciascuna un fantasma affannato,
d'umano sembiante, in piedi appariva,
ma all'ombra del mostro si convertiva,
gemendo, in scimmietta d'un circo dannato!

Ballavan le scimmie mentre un pannolone
giallo e marrón fino agli occhi portavano,
ognora percosse, ché fruste saettavano
per man dei gerarchi di volante caprone:

il peggiòr era antìtesi di cuore e intelletto,
cinto da corvi coi quali gracchiava,
sì osceno che in ogni suo aspetto involava
speranza dall'alma a ciascùn poveretto;

ma pure un cinghiale a lui simile in tutto,
gonfio e canuto vedèasi seguirlo,
ché già s'apprestava a sostituirlo,
piano malvagio perpetuando nel lutto!

Sull'ali ciclopiche compàrver milioni
di spine dai rovi più avvelenati,
che in un battibalèno sagittàron scagliàti
di tre per mùltiplo su scimmie a gattòni:

il marchio di bestia da antichi descritto
s'imprimeva sul corpo di quei condannati,
che stolti insultàvan lor frati assennati
che per fe' o per ragione aborrìan tal delitto!

Con voce crudele e al contempo cafona,
la sòrdida belva ordinò che l'entrata
e la compravendita sin fosse vietata
a chi avèa preservato alma ìntegra e buona;

a questo s'aggiunga che un coro infernale
di gutturàl risa, insulti e minacce
s'alzò con fragòr da pennute bestiacce
che avèan per due soldi voce prestato al male!

Anco vari scimmiotti facèano i gradassi,
sfacciati irridendo quanti non puntaspilli,
eppùr cominciarono come birilli
a cascare falciati da repenti collassi:

l'artista davvero non riusciva a capire
perché di tal gregge molti solo belassero
e insieme piuttosto già non condannassero
i sàtrapi che avèan lor fatto soffrire.

Chiuse allor gli occhi, d'orrore sommerso,
al drago sublime d'Oriente pensando,
potere destàndone sì che, vorticando,
alfìn sulle guance risentì l'aere terso:

alla vista riapparve il bel negozietto,
ma senza la statua intrisa d'arcano;
solo una ninfèa ed un baffo castano
lucenti splendèan su lezioso biglietto;

«Quel che vedesti, della fine è l'inizio»
dicevan caratteri in àurea scrittura,
«ché da potere sorgerà gran sciagura
se guidato non fìa da umano giudizio!»

Al core ponendosi tal baffo incantato,
pagò suo cestino e uscì per via lesto,
intento a sventare il presagio funesto
che in fosca visione gli fu rivelato.